17/12/2005
La scrittura che libera dalla colpa
Mussomeli su una collina fuori dell'abitato c'è una villa isolata in cui abita uno che ama scrivere, uno di quelli che del vivere appartati, nella semplicità e a contatto con la natura, ha fatto una scelta di vita e di stile. Qui si ritira ogni giorno dopo aver sondato come un palombaro gli abissi della mente, i fondali più oscuri e impenetrabili o quelli più limpidi all'apparenza disponibili allo scandaglio. II suo nome è Mario Ricotta, di mestiere fa lo psichiatra e conosce alla perfezione i meccanismi perversi della mente, la dissoluzione della coscienza e il contrasto fortissimo tra civiltà e istinto, tra cultura e natura, tra dogma e libertà. E' naturale perciò che il suo primo approdo di scrittore sia stata una notevole, anche se finora poco rappresentata, produzione drammaturgica, di un teatro dell'assurdo, del farsi e del disfarsi della mente e della scena, della realtà e del suo contrario: Testi rivelatori di un'attitudine allo scandaglio dell’anima, che però mettevano in gioco solo indirettamente l’io dell'autore, le cui corde si sentivano vibrare, ma come un sottofondo, un accompagnamento musicale discreto. Quella risonanza era un'eco che maturava, era scrittura e parola che coinvolgevano l'io, che lo mettevano talmente a nudo da richiedere pazienza, lima, tempi lunghi, coraggio di mostrare a tutti la propria intimità più riposta.
Scrivere era tormento e liberazione. Significava svelarsi e ricoprirsi di un nuovo manto, scorticare la propria anima per ridarle una nuova verginità, rinunciare a verità inculcate e mostrare a fronte alta la conquista di una nuova fede, fondata sulla grandezza dell'uomo, che accetta la propria finitezza, e non sulla proiezione delle umane miserie in Dio. Perciò si capisce l'ironia di Mario Ricotta nell'intitolare il suo libro "La mia santità", (Edizioni Progetto cultura, pp. 266, euro 12). Santità laica, conquistata dopo un corpo a corpo durato circa trent’anni con la sua esperienza nel Seminario arcivescovile di Caltanissetta, in una sfida senza quartiere della logica alla mentalità repressiva, al disegno dell'obbedienza cieca, ottusa, che mira al controllo delle coscienze.
Mario Ricotta compie l'itinerario opposto a Sant'Agostino, che dalla dissolutezza era passato alla conquista della fede e all'annullamento di sé in Dio. Lo scrittore di Mussomeli, uno dei tanti figli di contadini che trovavano nel seminario un mezzo per studiare, parte dall'accettazione della fede, arde dal desiderio di conformarsi, di essere perfetto, di conquistare il regno dei cieli, ma qualcosa non funziona. A parte ipocrisie facilmente verificabili, contraddizioni stridenti, idiozie, persino punizioni per aver mostrato eccesso di zelo, esiste il disagio per il senso di colpa che schiaccia l'individuo, che ne fa un eterno imputato per il semplice fatto di esistere, come il Signor K del Processo di Kafka. Prima che una ribellione cosciente, la fuga dall'assurdo avviene tramite la malattia che rivela la contraddizione tra l'essere e il dovere essere. Da questa frattura nascono le confessioni, perché a questo genere letterario appartiene "La mia santità", di Ricotta. II risultato è, oltre ad una prosa avvincente, la conquista di una rigorosa morale laica, che non significa rinuncia alla possibilità di Dio, ma agli inganni dei suoi interpreti più intransigenti.